Il secolo del Paròn: il celebre allenatore Nereo Rocco avrebbe oggi compiuto cento anni!
«“Mister…. vinca il migliore!” “Speremo de no…!”» Impossibile dimenticare queste parole… Un brevissimo dialogo tra un giornalista ed un allenatore, due personaggi distinti, diversi, votati a due mestieri completamente opposti: uno ha il compito di chiedere, di informarsi e dare delle risposte; l’altro è un giudice di uomini, colui che ha il compito di capirli, di formarli e di sentirsi in diritto di chiedergli il meglio. Allora per quale ragione uno scambio così semplice ha il potere di passare alla storia? La differenza, come al solito, è fatta dagli interpreti. Chiunque ha la possibilità di dialogare ed esprimere pareri e giudizi, ma solo alcuni personaggi hanno il carisma giusto per consegnarsi alle ribalte…. Il Paròn era uno di quei personaggi. Nereo Rocco non era un comune allenatore. Partendo dal porto triestino, spazzato dalla Bora, seppe imporsi nel panorama calcistico internazionale fornendo, nell’era “dei maghi”, uno stile di calcio unico, che assieme al suo nome avrebbe attraversato indenne le nebbie del tempo.

Era il 20 di maggio di un lontanissimo 1912 quando a Trieste nacque il piccolo Nereo. Famiglia piuttosto agiata, di origini austriache, una città frenetica, punto di collegamento fra la cultura occidentale e quella mitteleuropea, importante snodo portuale sull’Adriatico e una passione irresistibile per uno sport di crescente prestigio, il calcio. Questi gli ingredienti dell’infanzia e dell’adolescenza di Nereo Roch (italianizzato poi in Rocco), che si affaccia sul mondo del calcio vero e proprio nel 1927, entrando a far parte delle giovanili dell’Unione Sportiva Triestina. Il legame con la città d’origine è indissolubile e proprio con gli alabardati, il giovane Rocco fa il suo esordio in serie A, nel 1929, per poi cucirsi addosso i colori triestini per ben otto stagioni. Gioca nel ruolo di mezzala destra, a diciotto anni è già titolare e ben presto per lui si aprono le porte della nazionale italiana con la quale, tuttavia, collezionerà solo una presenza, sotto la guida del mitico CT Vittorio Pozzo.
Dopo tante presenze e tanti gol con la Triestina, Rocco si trasferisce al Napoli prima e al Padova poi, prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 1942, in piena Guerra mondiale.
L’esperienza bellica segna profondamente l’Italia, il tempo e la voglia per il calcio sono sfumate dietro gli atroci eventi dell’occupazione tedesca e della sconfitta finale di una nazione ormai allo stremo. Eppure la vita ricomincia e con essa il desiderio di veder rinascere lo sport, fonte di unione e di divertimento senza eguali. Sono gli anni del Grande Torino, di Mazzola e delle magie di Ferruccio Novo ma anche degli esordi di Nereo Rocco come allenatore della sua Triestina. Le difficili condizioni in cui si trovava la città di Trieste dopo la fine della guerra, consentirono il ripescaggio della compagine friulana, finita ultima nella stagione ’46-’47, nella massima serie del campionato italiano. Il giovane allenatore che la guida apporta una incredibile dose di novità tattiche che portano gli alabardati addirittura al secondo posto, alle spalle dei granata. La leggenda iniziava a prendere forma. Rocco non è solo un bravo tattico ma anche un vero e proprio personaggio. Il suo modo di porsi, burbero e seccato, la sua forbita parlata triestina e la sua riluttanza ad esprimere elogi in favore dei suoi giocatori, fanno di lui un’icona del calcio che rinasce e che apre le sue porte al futuro. L’Italia aveva riaperto le frontiere, stava per iniziare l’era del mago Herrera e della sua Grande Inter ma in quel giovane e particolare tecnico, gli italiani vedevano crescere una vera cultura calcistica che sarebbe stata perno e guida di tutti i futuri, grandi allenatori.
Le due stagioni successive vedono la Triestina raggiungere due ottavi posti ma si registra anche il divorzio tra Rocco e la sua amata compagine biancorossa. Dopo alcuni anni di anonimato, tra Treviso e di nuovo (brevemente) Triestina, Nereo viene ingaggiato dal Padova, squadra prestigiosa ma quasi condannata all’inferno della serie C. Il tecnico triestino non riesce solo a salvare il Padova, ma in pochi anni lo porta fino ai vertici del massimo campionato italiano, dal terzo posto del ’58 ai successivi ottimi piazzamenti. La nuova e irresistibile novità applicata da Rocco è il cosiddetto “catenaccio”. Grazie a questo nuovo atteggiamento tattico, le squadre allenate dal Paròn sono praticamente inviolabili in difesa ma al tempo stesso sanno colpire a dovere in attacco.
Il 1961 è l’anno della svolta: Nereo Rocco viene ingaggiato dal Milan e da questo momento, per lui, si aprono i cancelli dell’Olimpo dei grandissimi. A più intervalli, alla guida dei rossoneri, il Paròn conquista tutto quello che c’è da conquistare, a livello nazionale ed europeo: fa suoi due scudetti, tre Coppe Italia, due Coppe dei Campioni (la prima è stata il primo trofeo continentale vinto da una squadra italiana), due Coppe delle Coppe e persino la prestigiosa Coppa Internazionale in una storica finale contro l’Estudiantes. Sotto la sua guida esplode il talento di Gianni Rivera, si afferma il portiere Cudicini e il calcio italiano raggiunge livelli altissimi, imponendosi a livello europeo come uno dei più belli ed appassionanti. Nel 1974 finì il suo idillio con la società rossonera e, dopo una breve e deludente esperienza con la Fiorentina e alcuni incarichi da direttore tecnico, Rocco lascia definitivamente il calcio nel 1977, lasciando dietro di sé una scia di successi senza eguali e l’immagine indelebile di un uomo paterno e carismatico, vera effigie del calcio italiano dal dopoguerra in avanti.
Il Paròn si congedò dalla vita il 20 febbraio del 1979, nella sua Trieste, dopo una breve malattia. Aveva 67 anni. Il mondo del calcio salutava così uno dei suoi personaggi più eccentrici e rappresentativi, che tanto aveva dato all’immagine dell’Italia in questo sport. Gianni Brera gli dedicò uno storico articolo, inneggiando alla loro amicizia e allo stile particolare e colorito dell’allenatore, cercando, nel frattempo, di impedire alle lacrime di ostacolare il suo compito di ricordare ed omaggiare il vecchio Paròn.
Oggi, a trentatre anni di distanza, in occasione del centenario della nascita di Rocco, la sua città gli dedica una mostra, una dimostrazione di affetto e riconoscenza per chi, dall’alto del suo carisma e della sua sapienza, contribuì a far vivere momenti irripetibili alla squadra della sua città e a rendere immortale e simbolico il volto calcistico del suo paese. Una mostra fatta di oggetti ed immagini che lo ricordano e che parlano di lui e che, se ascoltati con attenzione, potrebbero indurre, per un momento, i commossi spettatori a rivivere ricordi ed emozioni, vecchie, polverose ma ugualmente incancellabili.
Pubblicato il 20 Maggio 2012 da Damiano Mattana
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